Di Eufrosino della Volpaia non si conosce tantissimo, nasce alla fine del ‘400 o proprio nel 1500 – qualcuno avrebbe detto “… Mille e quattro, quasi mille e cinque!” – ed è un orologiaio ed inventore. Cosa c’entra un orologiaio con una carta geografica? Oggi le mappe le fanno quelli che costruiscono softwear, allora le facevano quelli che costruivano hardwear o meglio chi costruiva oggettistica di precisione e sapeva lavorare con metalli, incisioni e quant’altro. Sì perché dietro la carta geografica rinascimentale c’è sia la conoscenza dei luoghi, sia la capacità di incidere.
Ma ora andiamo al sodo, il nostro Eufrosino compose una carta in cui è rappresentato il delta del Tevere ed è datata al 1547.
Prima di affrontare la descrizione vale la pena ricordare che l’obiettivo degli autori dell’epoca non è quello di fornire uno strumento scientifico come ce lo immaginiamo oggi; già a colpo d’occhio, infatti, vediamo mostri marini, aree deformate e rappresentazioni fuori scala. Ma quindi quanto è affidabile? La risposta giusta è DIPENDE, sicuramente non ha l’accuratezza e l’oggettività che vorremmo trovare oggi in una carta ma è comunque uno strumento altamente importante e carico di informazioni ambientali e storiche.
Trattandosi del delta del Tevere partirei con una considerazione geologica: le due foci, quella naturale (Fiumara grande) e quella artificiale (Fossa traiana o canale di Fiumicino), hanno un flusso imponente ben visibile proprio all’uscita in mare. Questo non è un gioco grafico dell’autore, piuttosto corrisponde proprio con una delle fasi di massima progradazione del delta. Siamo nella piccola era glaciale, abbiamo annate molto fredde e piovose, i fiumi come il Tevere hanno una portata elevata e quindi trascinano verso mare tantissimi sedimenti. Ora passiamo a due fattori antropici: Ostia e l’Episcopio di Porto. La prima è quella cittadina fortificata posizionata vicino all’ansa del Tevere, quel meandro passava sotto le mura di Gregoriopoli, dove c’era un molo, e sarà così per altri 10 anni -ma di questo ne parleremo in prossimi articoli-. L’Episcopio di Porto è quella grossa torre posizionata a sinistra del canale di Fiumicino, torre che nella realtà è un complesso fortificato con palazzo del vescovo, chiesa, e altri edifici. Sia Ostia sia l’Episcopio hanno degli specchi d’acqua nelle vicinanze. Quello di Porto è, appunto, quanto rimane del porto di Traiano: i detriti non fanno riconoscere la forma esagonale e vediamo fuoriuscire uno strano canaletto, che in realtà indica canali e rigagnoli che solcavano l’area dell’antico porto di Claudio ormai del tutto insabbiato. Quello di Ostia è lo stagno, cioè quello che prima era un lago costiero, esattamente come quello di Maccarese che qui è fuori dall’inquadratura, e dall’età del ferro è stagno salmastro connesso al mare da un canale naturale, quello che oggi è il canale artificiale dei pescatori. Lo stagno è solcato dal ponte dell’Ostiense, che ancora serviva Ostia, e subito a sinistra troviamo la scritta “saline”, che dal medioevo sono qui e non più a Maccarese. Il canale dello stagno risulta senza ponti, ma noi sappiamo che c’era un ponte romano, quello della Via Severiana; di questo ne siamo certi perché è andato distrutto solo nel 1943 durante la ritirata nazista. L’episcopio di Porto, invece, ha un piccolo passaggio, che però non va interpretato come piccolo ponte ma, come ci riportano anche altre incisioni, come traghetto tra le due sponde. Altro elemento interessante è la costruzione presente nel centro del meandro, dove in epoca romana erano presenti vari horrea. Questa costruzione non distrutta, quindi probabilmente in uso, ha davanti una linea spezzata che collega le due parti del meandro e un sentierino che attraversa questa linea e collega l’edificio con il resto di Isola Sacra. Qui ci viene in soccorso un’altra immagine, in cui si può intuire la presenza di un canale che tagliava il meandro; uno stretto passaggio usato da piccole imbarcazioni a remi.
A sud, in alto nell’immagine, troviamo l’area di Castel Fusano – definita solamente “Fusano” perché siamo circa 2 secoli prima della costruzione dell’attuale castello – e di Castel Porziano – il più grande centro di Porcigliano -. Quest’area, tutt’oggi di pineta, ci appare come area boschiva e selvatica, sicuramente non solo pini ma anche lecci e arbusti erano le specie che caratterizzavano un’area disabitata e frequentata soprattutto per la caccia, di cui si vede una piccola scena vicino “Fusano”. Ma non tutto è selvatico: un’area è segnata come vigna, questo vuol dire che dove oggi camminiamo tra dune, pini e via Severiana, per alcuni anni c’è stata la coltivazione della vite – chissà che vino producevano!-. Ah, ma la via Severiana? Non è segnata, probabilmente perché era così in disuso da essere ricoperta di terra e piante.
Lascio in fine due aspetti molto interessanti, che in qualche modo ci ritroveremo più in là. Innanzitutto ricordo quanto detto precedentemente, il delta era in una fase di veloce avanzamento, quindi la linea di costa avanzava e negli anni si moltiplicavano i cordoni dunali. Cosa c’è tra un cordone e l’altro? Spesso si formano aree umide. Presso la costa di Ostia, tra Torre Boacciana e il canale dello stagno, troviamo un’area definita “tomboleto”, quindi proprio questo susseguirsi di dune con vegetazione mediterranea spesso bassa intervallata da aree più umide caratterizzate da felci rovi e giunchi. Presso Isola Sacra invece compare una zona umida più ampia, tra un cordone e l’altro si è creato uno stagno, probabilmente salmastro, che qui è contornato e tagliato da giunchi e altri arbusti.
Quanto ti sarebbe piaciuto fare una passeggiata lì? Pensaci quando oggi passi tra i palazzi o in pineta!
A cura di Tiberio Bellotti.