Sai quale è la storia di Castel Fusano?
Agli occhi di chi lo vive tutti i giorni o di chi lo visita saltuariamente, Castel Fusano è la pineta distintiva di Ostia e tutti legano questo territorio a questo albero. Ma tutto evolve. Il grande motore dell’evoluzione di questa area è il Tevere, l’avanzamento e l’arretramento della costa, la presenza dei laghi costieri, poi divenuti salmastri, la presenza di acqua nelle fasce interdunali, tutto concorre a creare una base ben specifica a cui flora e fauna si devono adattare. In questo gioco però entra anche l’essere umano, che, in base alla sua presenza ed ai suoi interessi, incide fortemente. Scopriamo, quindi, le caratteristiche di base dell’habitat che ci accoglie e tutte le modifiche di origine antropica.
Come ovvio che sia, questo articolo non è conclusivo. L’evoluzione è sempre in atto e mentre lo scriviamo il territorio ci cambia sotto i piedi; un giorno potremo aggiornarlo, ad esempio, in base alle conseguenze dell’urbanizzazione e del riscaldamento climatico.
La zona di Castel Fusano nel linguaggio comune viene identificato con il termine di pineta, ma sarebbe più corretto dire bosco della macchia mediterranea, elemento tipico delle terre che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Il clima che da questo mare prende il nome, da Kòppen chiamato anche etesio per la presenza dei venti annuali che dominano il bacino mediterraneo, è caratterizzato da estati secche e calde ed inverni miti e piovosi. La presenza del mare, inoltre, attenua le escursioni termiche sia giornaliere sia stagionali. I venti locali più frequenti provengono da Sud-Est Scirocco, da Sud Ostro, da Sud-Ovest Libeccio, da Ovest Ponente e da Nord-Ovest Maestrale.
Le piante tipiche della macchia mediterranea devono, quindi, essere capaci ad adattarsi a questo tipo di clima e alla presenza di venti che continuamente spirano, a volte anche con velocità di tutto rispetto, e che arricchiscono di salsedine l’atmosfera.
Quali le loro difese?
La principale strategia è relativa alla conformazione delle foglie, vediamole:
–Sclerofille (coriacee) con peluria spesso presenti su una delle pagine, per poter così trattenere l’umidità, come si vede bene nel Leccio (Quercs ilex).
– Aghiformi che diminuiscono la superficie per poter meglio affrontare la siccità, un esempio ne è il Ginepro.
–Composte, una struttura che ottimizza la superficie e migliora la resistenza alla siccità, un esempio tipico è il Lentisco
I pini sono un altro elemento presente anche in origine ma non dobbiamo immaginarci una copertura quasi esclusiva del pinus pinea, il pino domestico, piuttosto questo tipo di bosco è punteggiato dalle altre due specie: pino di Aleppo ed il pinaster.
E come mai oggi, invece, parliamo di pineta? Cosa è accaduto nella storia di Castel Fusano?
La nostra bella pineta non è cresciuta spontaneamente, perché è frutto di una precisa scelta operata nel XVIII secolo per la produzione di pinoli. Castel Fusano è oggi il polmone verde di Roma, ma probabilmente da sempre gli abitanti dell’antichissima città hanno molto apprezzato quest’area. Nell’età Imperiale infatti i Romani benestanti avevano scelto proprio questa zona per costruire ville, inizialmente nate come Ville Rustiche, cioè grandi aziende agricole, ma successivamente divenute anche ricche residenze, vicino al mare e alla campagna. La storia di Castel Fusano infatti è molto antica. E’ possibile risalire con certezza ai tempi dei romani tramite iscrizione trovate sul luogo o scritti giunti sino a noi.
Castel Fusano è attraversato dalla via Severiana, la strada lastricata da Settimio Severo che metteva in comunicazione Ostia con Lavino, Anzio e Terracina e permetteva di far arrivare la calce, necessaria per la manutenzione del Porto, dai Monti Lepini fino ad Ostia.
Due iscrizioni ritrovate a Castel Fusano ce ne parlano, descrivendo i restauri del ponte, opera degli imperatori Carino e Numeriano, a confine tra i territori degli Ostiensi e dei Laurentini, attraverso il quale la via superava il canale dello Stagno, detto oggi anche canale dei Pescatori, nonchè le costruzione di argini presso Ardea volute da Massimino e Massimo, per difendere la costa dalle mareggiate. Quest’ultima informazione ci indica che la via Severiana, che oggi dista dal mare 2 km al confine Nord Ovest e 1200 metri al confine nord sud est, al tempo della sua costruzione era la strada litoranea.
La via era così divenuta ben presto anche un comodo collegamento per le numerose ville che i nobili romani nel frattempo si erano fatti costruire come residenze estive vicine alla città di Roma e prossime al mare. La villa di cui si ammirano i resti all’interno di Castel Fusano pare sia quella dell’oratore Ortensio, che fu pretore di una flotta romana durante le guerre Macedoni. Essa fu per lungo tempo considerata quella di Plinio il giovane, poiché viene da lui descritta nell’epistola all’amico Gallo (Epistulae. 11, 17). Tuttora infatti viene chiamata Villa di Plinio ed è costruita su un terrapieno circondata da magnifici lecci. Tale particolare disposizione permise di attrezzare la zona per la caccia alle colombe, motivo per cui la località tuttora è chiamata villa della Palombara. Questa grandiosa residenza fu edificata in varie fasi e ciò si evidenzia dai differenti tipi di muratura; inoltre comprende diversi ambienti, tra i quali il giardino, una vasta zona termale con vasche di acqua calda, una zona residenziale, il portico, una fontana, le stanze da pranzo (triclini) e per il riposo, tutte con pareti e pavimenti decorati con mosaici (tra i quali uno dedicato a Nettuno). Anche Plinio il giovane nel I sec. D.C. comunque aveva costruito tra gli alberi la sua residenza estiva, i cui resti sarebbero stati individuati in un fabbricato a sud del Vicus Augustanus. La presenza di tali insediamenti signorili e di ville rustiche fu dunque parte importante nella scelta di creare una valida rete viaria che collegasse adeguatamente Roma alle zone abitate esistenti sulla costa.
Gli scavi iniziati nel 1700, su richiesta dei Musei Vaticani e successivamente ad opera del Comune di Roma, hanno spogliato i resti archeologici degli arredi marmorei. L’acqua veniva attinta dal sottosuolo per mezzo di una ruota idraulica, mentre una parte delle mura è ancora in buono stato, forse perché protetta dalla vegetazione.
Il nome Fusano, certamente di origine Romana, trova riscontro in molte epigrafi ostiensi. La sua etimologia viene riferita alla Gens Furia o Fusia che possedeva fondi nella contrada chiamata Fusiano. Ma secondo l’Archeologo e studioso, Rodolfo Lanciani sarebbe da mettere in relazione con le due tenute vicine di Trefusa e Trefuselle.
Passato il periodo di maggior splendore dell’Impero Romano, questa zona verde fu abbandonata a causa delle paludi circostanti, che per lunghi secoli continuarono a scoraggiarne il popolamento.
Sappiamo da fonti documentarie che la tenuta nel 1118 venne concessa da papa Celestino III al monastero di Sant’Anastasio “ad acquas salvias” che negli anni successivi si annettè i fondi limitrofi. L’intero litorale doveva in quegli anni essere molto ricco di selvaggina.
Nel 1190, e precisamente il 25 Agosto, il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone era di passaggio in questi luoghi diretto alla terza crociata; egli raccontò, a proposito di questi territori, di aver attraversato un bosco che abbondava di cervi e caprioli. E infatti fu l’abbondanza di animali selvatici a spingere molti abitanti del circondario ad entrare senza permesso nella tenuta per esercitarne abusivamente la caccia.
In quegli anni sorse quindi una questione tra i proprietari del fondo e gli ostiensi, controversia che si risolse a favore del Monastero con una sentenza riconfermata poi nel 1277 che fa divieto di “uccellare e transitare” senza autorizzazione. Negli anni che seguirono vi furono numerosi passaggi di proprietà di tutta o parte della tenuta, che andò al monastero di San Saba, poi agli Orsini, poi ai De Fabi e ai Mazzinghi.
Infine nel 1620 i creditori di Vincenzo Mazzinghi passarono la proprietà, denominata tumuleto di Fassano, per 16.000 scudi al cardinale Giulio Sacchetti, la cui famiglia dal 1607 era affittuaria della confinante tenuta di Decima. La famiglia Sacchetti, successivamente, acquistò anche la tenuta di Spinerba e il casale di Fusano. Siamo nel 1634, l’intero fondo ha una superficie di 2.078 ettari. L’area giunta ai nostri giorni è ben più piccola, circa 1000 ettari, poichè le altre parti sono state nel tempo suddivise tra privati ed ora sono edificate o coltivate.
In quegli anni nella tenuta furono soprattutto allevati cavalli e bufale, utilizzando il bosco per il taglio, per realizzare fascine e carbone.
Inoltre vennero con larghezza date concessioni annuali per la di caccia di cinghiali, caprioli, cervi, lepri, istrici, ricci. In questo modo il patrimonio faunistico dovette diminuire considerevolmente perché 100 anni più tardi, uno scritto di Papa Benedetto XIII (1724/1730) autorizzava a fare della tenuta una Riserva di Caccia e di infliggere pene corporali e pecuniarie a chiunque contravvenisse al divieto.
Ai primi del 1700, forse perché provenienti dalla Toscana dove già si era sperimentato il valore economico delle pinete, i Sacchetti iniziarono la piantumazione del pino domestico per ricavarne pinoli. Nel 1733 erano già stati piantati con successo sei 6/7000 esemplari, vennero anche messi a dimora pioppi, olmi e salici lungo le sponde dei canali e si iniziò la conversione, nella zona più vicina al mare, della macchia in Lecceta.
Va comunque detto che il Pino doveva già essere presente nella zona, tanto che Silvio Italico, parlando delle ville marine, le dice ricche di altissimi pini e Virgilio parlando di questi luoghi cita l’albero chiamandolo pulcherrima pinus.
La storia di Castel Fusano continua. Su richiesta del cardinale Giulio Sacchetti, il pittore e architetto Piero da Cortona, costruisce il Castello, oggi detto Chigi. Il 27 Giugno del 1755 il palazzo e l’intera tenuta vengono venduti, con opportuno chirografo di Papa Benedetto XIV, per 135.000 scudi al principe Agostino Chigi.
Quest’ultimo continua nell’impianto dei pini in interi quarti della tenuta, fino al 1887, data delle ultime piantagioni effettuate. Un ulteriore rimboschimento sarà poi portato a termine negli anni trenta del Novecento a Quarto delle tane, Quarto grande, Spinerba.
Nel 1888 la zona viene data in affitto al Re Umberto I, che la utilizza solo come riserva di caccia, per cui la vegetazione, privata di ulteriori interventi di piantumazione, potè riprendere il suo corso naturale.
Le aree paludose, invece, subiscono una prima bonifica nella zona dei Pantani, da parte del principe Chigi nel 1884. Pochi anni dopo però ampie zone subiscono nuovi allagamenti a causa della vicinanza dello Stagno di Ostia. Così nel 1896 lo Stato prende il problema a suo carico prosciugando l’intero Stagno. Nel 1916 i Pantani bonificati furono messi a coltura.
Nel 1932 Francesco Chigi vende la tenuta al Governatorato, riservandosi il Castello ed una certa quantità di terreno circostante, circa 22 ha. Castel Fusano diventa così il 13 aprile 1933 il grande parco di Roma, meta giornaliera di migliaia di persone. Per tale motivo viene aperto un varco nella duna per congiungere l’area verde alla spiaggia, oggi chiamato viale Mediterraneo. A quel periodo risalgono anche la realizzazione di strade carrozzabili, con viali illuminati ed alcune stradelle rustiche (viale del Lupo, della Lepre, dei Ginepri, degli Elci) oltre a fontanelle e bagni per i visitatori. In seguito all’acquisto da parte dal Comune di Roma e ad una successiva legge specifica, che la vincola come area di interesse ambientale e paesaggistico, si vieta a chiunque di costruire in questa zona. Una fase storica molto importante è stata anche quella della seconda guerra mondiale, per questo rimandiamo all’articolo specifico. Altra data importante è il 26 giugno 1980 quando la regione Lazio istituì il parco di Castelfusano. Da questo momento, infatti si posero le basi per la tutela dell’area. La legge del 1996, istituendo la Riserva Naturale Statale del Litorale Romano l’ha definitivamente messa al sicuro inserendola nella più vasta area protetta d’Italia.
Tuttora appartiene alla famiglia Chigi il bellissimo Castello, una vera gemma incastonata nel verde della grande pineta, visitabile alcuni giorni l’anno su richiesta.
A cura di Gabriella De Luca, Silvia Grassi e Tiberio Bellotti.